Lunedì 22 marzo, ore 8,45 tutti (o quasi) sulla piattaforma Meet per incontrarci. Al tempo del coronavirus queste piattaforme sono ormai diventate le nostre case, i luoghi della condivisione e dell’incontro. E quello del 22 marzo è stato un incontro sintetico, ma speciale. Era con noi mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena che ha cercato di aiutarci a entrare, in modo concreto e al tempo stesso significativo, all’interno del tema “povertà e preghiera”, che l’ultimo Capitolo provinciale ha individuato come una delle tematiche su cui riflettere nel triennio in corso.

Alcuni spunti sono stati veramente interessanti, ma soprattutto provocanti e al di là di ogni retorica e di ogni desiderio di lanciare slogan a effetto. Cerco di riportarli così come hanno parlato a me.

Il vangelo, secondo mons. Erio, ci mostra diversi tipi di preghiera e tra questi troviamo la preghiera commerciale (quella del fariseo al tempio) e quella contrattuale (quella di Pietro che patteggia con Gesù per poter camminare sulle acque): sono preghiere dalle quali dobbiamo prendere le distanze, perché Dio non è mai un buon partner contrattuale. Occorre una preghiera povera che deve portarci a diventare poveri. Anzitutto dobbiamo pensare alla nostra povertà nelle nostre persone e nelle nostre fraternità perché tipico delle comunità cristiane è parlare di povertà, intendendo sempre le povertà degli altri.

Il Covid ci sta portando a vivere una grande occasione per quanto la povertà ci pone dinnanzi: grandi disagi, grandi sofferenze e fatiche. Queste povertà devono essere i punti da cui ripartire. È perdere una grande occasione pensare che “prima o poi tutto tornerà come prima”, perché come prima non tornerà più e dovremo reinventarci.

E come? Dovremo uscire dalle nostre case e dalle nostre chiese per ascoltare la gente, cercare di capire che cosa ha frullato nella loro mente in questo periodo di Covid e aiutarla a verbalizzarlo, a far diventare vere e vive le sue parole, ma questo sarà possibile solamente se la ascolteremo e la porteremo a trasformare i vissuti davanti al Vangelo perché solo lì le parole diventano vere.

In un altro punto della sua riflessione mons. Erio ha ripreso la famosa immagine di Papa Francesco della Chiesa come ospedale da Campo cercando di concretizzarla per noi. Occorre recuperare l’essenziale per essere vicini ai feriti. La Chiesa deve andare dove nessuno vuole andare, dove manca la visibilità e dove è assente il guadagno. Saremo soli a correre? Non importa, ma è qui che dobbiamo correre. La grande tentazione è quella del recupero e del restauro, del vedere quanta gente tornerà in Chiesa, se riempiremo di nuovo le Messe, ma ciò crea solo cortocircuiti in quanto è ritorno a un passato che forse non tornerà più e saremmo solo dei nostalgici. Il tempo presente e il Vangelo ci chiedono di diventare fiaccola dove ci sono le ombre, di scommettere sull’uscire anche se ciò scompiglia tutto quanto vissuto sino ad ora. Solo così potremo diventare evangelici.

E dopo ciò, la provocazione è diventata cinemato­grafica con la proiezione del corto “poliedros” per la regia di fr. Ivano Puccetti. L’assordante canzone vincitrice del Festival di Sanremo 2021, che ripete continuamente “siamo fuori di testa”, ha accompagnato la visione dei diversi poliedri delle fraternità della nostra provincia. Nessuno era uguale all’altro: ogni fraternità è originale e fuori di testa a modo suo. (fr. Antonello Ferretti)