Bologna, 12 gennaio 2021

Era trascorsa circa un’ora dall’ora terza, quando Aurelio udì la voce del Signore che lo chiamava: «Ehi! È giunto il momento!». Così Aurelio, solito a chiamare i confratelli con il suo abituale “Ehi!”, ha lasciato tutto e lo ha seguito, allo stesso modo come 75 anni prima aveva abbandonato ogni cosa, per dare ascolto alla voce che lo chiamava a farsi frate cappuccino.

Il suo paese

Aurelio era nato a Massa Manente nel comune di Sogliano al Rubicone il primo giorno di aprile del 1928, quando già le rondini avevano fatto il ritorno anche al suo paese, volteggiando sicure e leggiadre per il cielo che profumava di primavera. Nel territorio agreste di questo paese si alternano piccole alture e valli appena accennate, attraversate dal serpeggiare del torrente Uso. Un abitato quasi insignificante dell’appennino romagnolo, che inizialmente faceva parte del comprensorio di San Leo nel Montefeltro marchigiano, un antico borgo cresciuto attorno a un castello inespugnabile posto su uno sperone di roccia svettante sul panorama del fiume Marecchia. Massa Manente costituiva un suo avamposto di difesa, con un proprio piccolo castello. Ridottosi quasi a solo castello, a metà del sec. XVII divenne comunità autonoma, fino a quando, verso la fine del sec. XVIII, fu inglobato nello Stato pontificio. In seguito cadde sotto la delega­zione di Urbino e Pesaro nella provincia del Montefeltro, ma pochi anni dopo, nel 1816, fu annesso a Sogliano al Rubicone della delegazione di Forlì e divenne così a far parte della terra di Romagna. In epoca successiva ebbe un proprio governo con un sindaco locale, detto anche con­sole, con un consiglio che lo affiancava nel dirigere una comunità sparsa in tutto il circondario. Il nucleo originario dell’abitato aveva una sua chiesa, dedicata a San Pater-

Fr. AURELIO
CAPODILISTA

Nato a Massa Manente di Sogliano al Rubicone (Fc) 1 aprile 1928

Morto a Reggio Emilia
20 dicembre 2020

niano, un vescovo vissuto a Fermo nel IV secolo. Questa chiesa è ancora oggi esistente, e qui Aurelio fu battezzato e apprese i primi rudimenti della fede cristiana.

L’infanzia e la vocazione

In questo ambiente aspro ma suggestivo il piccolo Aurelio ha trascorso la sua infanzia, fatta di cielo limpido, di sogni, di giochi all’aperto con i suoi coetanei, e di corse lungo i ripidi pendii. Prima di lui, altri adolescenti, non si sa come, avevano lasciato il paese per perdersi nelle città della pianura, e per poi riapparire vestiti di tonaca e di cordone. Così, su suggerimento di un frate alla cerca di formaggi, decise pure lui di seguire la medesima strada. Si ritrovò in uno dei seminari dei frati cappuccini sparsi qua e là nel territorio romagnolo per via degli eventi bellici che lo flagellavano. Non provò nessun timore nel vivere in un ambiente tanto diverso dal suo paese natale: frati con barbe non curate e con l’aspetto di uomini primitivi, piedi scalzi, disciplina ferrea, studio su libri che mai aveva visto… Così, poco dopo il termine della guerra, il 7 settembre 1945, con il nome di fr. Vicinio da Sogliano, fece la sua entrata nel noviziato di Cesena, un convento posto su un colle, che sembra come volersi tuffare nella sottostante pianura romagnola. Un ambiente misero e squallido, soprattutto per chi era solo più che adolescente. Il pane impastato dal frate cuciniere non mancò mai, ma non il freddo invernale: sia dentro che fuori, con il suo vento gelido che fischiava nelle orecchie e si infilava sotto il ruvido abito dopo aver congelato i piedi nudi, lo mise a dura prova. Aurelio però non era il tipo da lasciarsi prendere dallo sconforto e complicarsi la vita. Anche sui suoi monti non era tanto diverso.

L’anno successivo, emessa la professione temporanea nella festa della natività di Maria, si portò nel professorio, luogo che serviva ai giovani frati appena usciti dal noviziato di completare la loro formazione spirituale e scolastica. Ormai anche lui era un vero frate, cresciuto nella severa disciplina cappuccina, e la barba appena spuntata lo inorgogliva e lo faceva sembrare un nuovo san Francesco, simile a quello dipinto in tanti quadri. Il 4.1.1949 fu la volta della professione perpetua e nel settembre 1950 fu ammesso allo studio della teologia a Bologna. Qui, il 3 aprile 1954, ebbe le mani consacrate nel presbiterato dal card. Giacomo Lercaro, arcivescovo della città.

Le prime esperienze pastorali

I primi anni come giovane sacerdote li trascorse nell’assistenza ai giovani nella nostra parrocchia di Santa Maria del Fiore a Forlì, per poi essere destinato, nel 1958, come vicemaestro nello studentato di Lugo (Ra). Era di carattere aperto, alieno dal rendere difficile la vita a se stesso e ai giovani studenti: un atteggiamento fuori dagli schemi tradizionali anche nelle sue relazioni con chiunque frequentasse la chiesa, benché non disdegnasse, soprat­tutto nell’ambito liturgico, di preferire le forme devo-zionali più tradizionali e più care alla gente. Non amava giocare a pallone, non sentendosi né portiere, né difenso­re, né attaccante, ma solo raro spettatore, e per di più poco interessato. Ciò a differenza di altri frati, anche di età più matura, che venivano volentieri a rinfoltire le squadre sempre inadeguate dei giovani studenti. Su tutti il padre Callisto, maestro insuperabile di filosofia e di musica, che mulinava le gambe a ritmo di valzer e che interpretava gli schemi di gioco come sillogismi.

All’ANIC di Ravenna e a Porretta Terme

Improvvisamente nel febbraio del 1961, i superiori decisero di inviarlo, assieme ad altri due confratelli, come cappellano degli operai dell’ANIC (Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili) presso la cappella di Santa Barbara a Ravenna: il suo carattere aperto e cordiale faceva presagire buoni risultati in un ambiente tutt’altro che favorevole. Fu però un’esperienza breve: due anni dopo venne inviato a Porretta Terme come guardiano. In quella cittadina di montagna, dove la gente viveva di semplicità con grande venerazione per i frati, si trovò molto bene. Riuscì anche a non pestare i piedi al parroco locale, alquan­to contrariato che la chiesa dei frati fosse preferita alla chiesa parrocchiale posta pressoché ai margini e alla sommità del paese e scomoda da raggiungere. Non gli fu facile, benché libero da ogni forma di protagonismo, neppure la convivenza con un confratello che godeva di una vasta popolarità e che si considerava, per la lunga permanenza in quel convento, il punto di riferimento della popolazione di quella località termale.

Rettore di seminario e di santuario

Dopo il triennio di Porretta, fu nominato nel 1966 direttore del seminario di Faenza. Qui offrì una più ampia libertà ai giovani adolescenti seminaristi, che riconobbero in lui la capacità di semplificare la vita a chi nei primi anni del proprio cammino seminaristico si era dovuto adattare a un modo di vivere non consono alla propria età, se non opprimente. Dopo appena due anni, forse perché non compreso nella sua figura di educatore fuori dai canoni consueti, fu trasferito a Lugo di Romagna come sacrista, e dopo un altro anno, nel 1969, a Cento come guardiano e rettore del santuario, e qui rimase fino al 1975. Nel san­tuario della Madonna della Rocca a Cento poté esprimere tutta la sua personalità, accattivandosi la simpatia dei centesi, che vedevano in lui un frate sempre sorridente, disponibile e aperto a battute scherzose e mai cattive.

Nel Centro Ofs di Castel San Pietro

Nel 1975 fu eletto consigliere provinciale, e come tale assunse la direzione del nuovo Centro provinciale dell’Ofs di Castel San Pietro Terme. Erano ormai esauriti i tempi in cui in ogni parrocchia della regione era fiorente il gruppo dei francescani laici, e p. Aurelio, prendendo atto di que­sta realtà, si limitò a curare i gruppi dei terziari che, perio­dicamente, si portavano al Centro per la loro formazione francescana, e a servire le piccole parrocchie nei dintorni della cittadina posta al confine tra l’Emilia e la Romagna. Fu anche eletto consigliere nazionale del Centro Ofs e GiFra, che stava sperimentando nuove strade per forme di aggregazione e di formazione più coinvolgenti e più aderenti alla sensibilità della società moderna e alle direttive del Concilio Vaticano II.

Guardiano di conventi e responsabile della mensa di Rimini

Nel 1993 nuovo trasferimento a Cento come guar­diano e rettore del Santuario, finché nel 1996 fu nominato guardiano del convento di san Giuseppe in Bologna e vice maestro degli studenti teologi ivi presenti. Non mancò anche qui dare impulso allo sparuto gruppo dei terziari francescani, ma con risultati non all’altezza delle aspetta­tive. Tre anni dopo fece nuovamente ritorno a Cento, e in seguito, nel 2002, fu destinato a Rimini come guardiano, sacristia e responsabile della mensa dei poveri. Il suo approccio con il mondo dei dimenticati più che formativo fu assistenziale, il che evitava a lui problemi maggiori oltre quelli che una struttura del genere porta in sé. Riusciva a tener freno all’irruenza degli ospiti distribuendo ogni giorno piccole somme in denaro, con il risultato di richiamare alla porta del convento gente che aveva fame più di soldi che di pane.

Gli ultimi bagliori e il tramonto

Nel 2008 si trasferì a Forlì dapprima solo come confes­sore e poi, ormai ottantreenne, come vicario parrocchiale dal 2011 al 2012, fino a quando, cioè, convento e chiesa furono abbandonati. Gli ultimi anni della sua vita li trascor­se a Faenza, come custode della chiesa e confessore, finché il suo stato di salute glielo consentì. Venuto a far parte dell’infermeria provinciale di Reggio Emilia, qui visse la sua senectus in modo sereno, ben consapevole che essa era una malattia in più – senectus ipsa morbus – oltre quelle che lo avevano accompagnato negli ultimi anni.

Così a metà mattinata del 20 dicembre, i suoi occhi si sono spenti alla luce del nuovo giorno appena spuntato, per aprirsi alla luce di un giorno che è l’oggi eterno.

  1. Aurelio non è stato promotore di grandi inziative, ma il suo carattere aperto e cordiale e il suo ottimismo gli hanno attirato la simpatia e l’ammirazione dei confratelli e della gente. È stato un frate amante della sua vocazione francescano-cappuccina e avrebbe voluto che il suo esempio contagiasse anche tanti altri, come scrisse lui stesso, in occasione del 50° anniversario della sua ordinazione sacerdotale, al ministro provinciale di allora: «La sua presenza alla festa del mio 50° di sacerdozio, celebrata a Sogliano al Rubicone domenica 21 marzo 2004, avrebbe potuto contribuire a fare emergere la bellezza e la validità della vocazione francescana cappuccina per la buona gente della nostra terra (…). Capisco che non si può essere dappertutto, e perciò nessun lamento. Tutto è andato bene».  fr. Nazzareno Zanni

Il funerale di Padre Aurelio è stato celebrato nella nostra chiesa di Santarcangelo di Romagna, e le sue ceneri sono state deposte nel cimitero di Sogliano al Rubicone.